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Purtroppo mi è impossibile elencare tutti i trucchi e gli inganni che mettiamo in atto durante le nostre pratiche di mindfulness; io ne uso solo alcuni, non ne ho un elenco completo, ne riesco ad immaginarli tutti. Ma di uno in particolare vorrei parlarne perché si tratta di un inganno scandalosamente evidente, di cui tutti dovremmo essere a conoscenza.

Mi riferisco all’inganno del “come se”.

Il “come se” è un atteggiamento nel quale spesso, più o meno consapevolmente, noi praticanti della mindfulness ci poniamo.

Altro che atteggiamento… Da un punto di vista meramente razionale è piuttosto un becero trucco della mente per farci credere cose che non sono o per farci credere che le cose sono come vorremmo fossero…

L’esercizio è molto semplice: consiste nel prepararci alla nostra sessione di pratica formale domandandoci “cosa sentirei nel mio corpo, cosa succederebbe (o non succederebbe) nello stesso se in questo momento sentissi veramente un corpo che respira? In che stato ‘corpo-mente’ mi ritroverei se in me, qui ed ora, si manifestasse una sensazione di globalità, che letteralmente avvolgesse e coinvolgesse tutta la mia attenzione, la più profonda, sottile e disinteressata?”.

Questa domanda me la posso porre all’inizio della sessione ma anche durante e in genere in qualunque momento della giornata ne senta la necessità, indipendentemente che io stia svolgendo una pratica formale o no.

Come porre la domanda? Certamente per iniziare me la posso porre come qualunque altra, la formalizzo con una o più frasi e magari provo anche a dare una risposta. La risposta coinvolgerà non solo la mente ma anche il corpo ed uno stato che potremmo definire “emotivo”, per cui dopo un po’ la mia domanda non sarà più strutturata, ma aperta e senza parole.

Questo è un aspetto cruciale del “come se” che è frequentemente sottovalutato o ignorato, non solo nella Mindfulness, ma in tutte quelle pratiche che ne fanno uso: il “come se”, infatti, può essere applicato tanto in modo razionale, quanto in modalità emozionale. E ciò che al cuore appare come perfettamente accettabile e reale all’intelletto può apparire come inaccettabile ed irreale, cioè ingannevole.

L’esercizio del “come se” è perciò un bell’imbroglio da un punto di vista logico: io dovrei immaginare di essere che le cose fossero come?!?!?! Che balla. Tuttavia, da un punto di vista emozionale, l’esercizio del “come se” è un mettersi all’ascolto di una parte di noi più “sensibile”.

Così, ciò che è un autoinganno per la mente è invece un passepartout che apre le porte su quella parte del nostro essere che lavora sul “centro emozionale”.

Diceva Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”.

Ovviamente l’esercizio funziona meglio se ho già un’esperienza vissuta di quello speciale stato (che coinvolge la mente, il corpo, le emozioni) di cui sono alla ricerca, perché ho verificato personalmente in passato di potermi “calare” in quello stato. Eppure certe volte l’esperienza vissuta è un grosso ostacolo perché la mente furba, invece di aprirsi a ciò che è, cerca incessantemente ciò che è già stato vissuto.

Per questo non dovremmo preoccuparci del nostro vissuto nella nostra pratica di Mindfulness. Lavoriamo invece “come se”…

L’esercizio del “come se” è un potente strumento creativo che la natura mette a disposizione e che ha poco di razionale visto che il suo principale ingrediente è il sentirsi in un certo stato, non il pensarsi in certo stato.

L’errore nel quale è facile cadere è, perciò, cercare di applicare questo meraviglioso esercizio (nella Mindfulness come in altre attività) in modo puramente razionale, trascurando quel sentimento che ne è invece il principale propellente.

Il “come se” è noto fin dai tempi antichi e l’essere umano lo applica in tutte le arti e scienze di sua concezione.

Le religioni lo sanno bene. Tutte le ritualità sono infatti un “come se”. Persino la fede lo è. 

Ancora Pascal, alle persone che non credevano, diceva: “Andate in chiesa, non importa se adesso non credete, comportatevi “come se” voi credeste: inginocchiatevi, pregate, ecc… La fede non tarderà ad arrivare”.

Anche la scienza non è esente da infiniti esempi di applicazione del “come se”. 

La ricercatrice lavora per dimostrare la propria tesi con fede (altro che fiducia!) che arriverà al risultato, anche se magari non esattamente come lei lo aveva ipotizzato, mettendo in atto una serie di azioni che dovrebbero confermare il postulato.

Ne è evidenza il suo modo di procedere quando si accinge ad effettuare l’esperimento: la cura, la meticolosità, l’attenzione nell’assicurarsi che tutto sia come dovrebbe essere. E’ un “come se”, un rituale che prepara a ciò che verrà. 

In psicoterapia si utilizza il “come se” con successo. Paul Watzlawick fu il primo ad utilizzarlo come  principale prescrizione nel protocollo di trattamento dei disturbi paranoici. Oggi è largamente utilizzata nella terapia breve strategica anche in alcune varianti come la tecnica della peggiore fantasia

E che dire, altro esempio dei tanti possibili, dei musicisti? Il loro affrontare un concerto o prepararsi a comporre richiede di collocarsi in una “bolla” che è un “come se” si trovassero in un altro stato, anche se così non è. 

Bolla. Proprio una bolla. Quella bolla è uno stato speciale, un’atmosfera.

Il “come se” è creare un’atmosfera che mi accompagna durante la mia pratica di Mindfulness, che alimenta la mia ricerca interiore e funge da ancora quando la mente mi afferra e trascina di qua e di là.

Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre

Mahatma Gandhi

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